La vitamina D, alleata della salute umana fin dalla primissima infanzia, agisce come un ormone svolgendo molteplici compiti.
Influisce in primo luogo sul processo intestinale di assorbimento di importanti elementi come calcio e fosforo, mentre contribuisce anche alla mineralizzazione delle ossa e alla modulazione del sistema immunitario.
La vitamina D si ricava solo in minima parte dal cibo, mentre è l’esposizione alla luce solare la fonte principale della sua produzione nell’organismo.
Per quanto riguarda soprattutto l’aspetto legato alla mineralizzazione delle ossa, l’Agenzia italiana del farmaco (AIFA) consiglia la sua integrazione soltanto in presenza di particolari carenze o condizioni patologiche.
Lo stato di ipovitamosi di vitamina D è una condizione relativamente frequente, caratterizzata da senso di debolezza, dolori muscolari e articolari e frequenti cadute dalla posizione eretta.
Questi segnali non vanno sottovalutati, ed è buona norma contattare il proprio medico curante per effettuare gli esami ematici di dosaggio di vitamina D.
La sua assunzione è raccomandata con valori inferiori a 12 nanogrammi per millilitro di sangue, mentre per chi soffre di osteoporosi o iperparatiroidismo è raccomandata con livelli già al di sotto di 30 nanogrammi/mL.
Nei pazienti sani invece è sufficiente limitarsi a un’integrazione nei neonati e negli anziani, in quanto una corretta alimentazione e una regolare attività all’aperto conferiscono il fabbisogno fisiologico di vitamina D.
Va ricordato come anche diverse terapie farmacologiche e diverse forme patologiche influiscano sul metabolismo della Vitamina D.
Antiepilettici e glucocorticoidi limitano il metabolismo, morbo di Chron o fibrosi cistica ne dimezzano invece la biodisponibilità.
In tutti questi casi la vitamina D dovrà essere assunta con valori inferiori a 20 nanogrammi per millilitro di sangue (o 50 nmol/L).